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Padova è una città dal cuore antico e dall’anima curiosa, fatta di storia, arte, devozione e ironia. Tra le tante definizioni che la contraddistinguono, ce n’è una che incuriosisce e fa sorridere: la città dei tre senza.

Un’espressione popolare, affettuosa, che racconta molto di Padova — dei suoi luoghi simbolici, del carattere dei suoi abitanti, della capacità unica di mescolare sacro e profano, tradizione e leggenda.
Ma cosa sono questi “tre senza”? E perché sono diventati parte dell’identità padovana? Scopriamolo insieme.

1. Il Santo senza nome 

A Padova, tutti conoscono Sant’Antonio, ma nessuno lo chiama per nome. È semplicemente “Il Santo”.
E la sua basilica, una delle più visitate d’Europa, non ha bisogno di altre presentazioni: per i padovani è “la Basilica del Santo”, senza ulteriori specifiche.

Questa forma di rispetto affettuoso, quasi confidenziale, racconta molto della profonda devozione che lega la città al frate francescano portoghese, divenuto patrono e simbolo di Padova.

Ogni anno milioni di pellegrini da tutto il mondo si recano sulla sua tomba, all’interno della maestosa basilica costruita nel XIII secolo. Ma per i padovani, non c’è bisogno di parole: il Santo è “lui”, punto.

2. Il Prato senza erba 

Il secondo “senza” è altrettanto celebre e si riferisce a Prato della Valle, una delle piazze più grandi d’Europa: oltre 88.000 metri quadrati di spazio aperto, incorniciato da statue e da un canale ellittico che circonda l’Isola Memmia.

Ma perché “senza erba”?
In passato questa grande area era un terreno paludoso, usato per fiere, mercati e manifestazioni pubbliche. Prima delle grandi opere di bonifica e sistemazione urbana del Settecento, Prato della Valle era un luogo spoglio, fangoso, tutt’altro che verde.

Il nome “prato” suonava quindi paradossale, tanto da far nascere il soprannome: un prato… senza erba.
Oggi l’ironia è superata dalla bellezza: il prato è rigoglioso e ben curato, luogo perfetto per passeggiare, rilassarsi o assistere a eventi pubblici sotto il cielo padovano.

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3. Il Caffè senza porte ☕️

Ultimo, ma non meno affascinante, il terzo “senza” riguarda uno dei luoghi più amati della città: il Caffè Pedrocchi.
Inaugurato nel 1831, fu voluto dal lungimirante Antonio Pedrocchi e progettato dall’architetto Giuseppe Jappelli. Il suo obiettivo? Creare un luogo d’incontro aperto a tutti, senza distinzioni di classe o orario.

Per questo motivo, il Caffè Pedrocchi rimase aperto giorno e notte fino al 1916, senza porte che ne limitassero l’accesso. Era “il caffè senza porte”, frequentato da studenti, artisti, rivoluzionari, professori e sognatori.

Luogo di fermento culturale e politico, il Pedrocchi è diventato anche simbolo del Risorgimento italiano: nella celebre Sala Bianca, uno studente fu ferito a colpi di baionetta durante i moti del 1848. Ancora oggi, i fori dei proiettili sono visibili sul muro, testimoni silenziosi di quella pagina di storia.

Leggende, curiosità e altre “assenze”

Come ogni città che si rispetti, anche Padova non si ferma ai tre “senza”.
Nel tempo, sono nate varianti, leggende goliardiche e “quasi verità” che arricchiscono il folklore locale:

  • Il capitello senza colonna, nel centro storico, dove una piccola edicola sembra fluttuare nel vuoto.
  • Il cavallo senza cavaliere, statua equestre di Gattamelata, che ai distratti può sembrare… disabitata.
  • L’orologio senza la lettera G, in Piazza dei Signori, dove l’antico orologio astronomico salta la “G” tra i segni zodiacali — perché i medievali la consideravano portatrice di sfortuna.
  • La chiesa senza facciata, ovvero la Basilica di Santa Giustina, che presenta una parte anteriore incompiuta, mai terminata.

E infine, una leggenda padovana vuole che il detto “essere al verde” sia nato proprio al Caffè Pedrocchi, dove nella Sala Verde si sedevano coloro che non potevano permettersi un caffè ma volevano comunque partecipare alla vita culturale della città.

Conclusione: una città viva e piena di storia 

I tre “senza” di Padova non sono mancanze, ma presenze così forti da non aver bisogno di spiegazioni.
Sono un modo tutto padovano per raccontare i propri simboli con ironia, affetto e un pizzico di mistero.
Una città che si prende sul serio… ma non troppo. E che, proprio grazie a questi “senza”, resta memorabile.

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